La riforma della giustizia introdotta dall’ex ministra Marta Cartabia ha acceso un intenso dibattito tra giornalisti, magistrati e giuristi. Le nuove disposizioni, pensate per recepire una direttiva europea del 2016 sul rafforzamento della presunzione di innocenza, mirano a regolamentare i rapporti tra le procure e i mezzi di informazione. Tuttavia, l’attuazione di queste norme ha sollevato critiche sul bilanciamento tra diritto di cronaca e protezione degli indagati, alimentando un confronto su temi fondamentali come la trasparenza e l’etica nel sistema giudiziario e mediatico.
La direttiva europea e il principio della presunzione di innocenza
La direttiva UE 2016/343, approvata il 9 marzo 2016, sottolinea l’importanza di garantire che ogni individuo sia considerato innocente fino a una condanna definitiva e vieta dichiarazioni pubbliche o decisioni che possano suggerire la colpevolezza di un indagato. Questo principio implica che le autorità pubbliche possano divulgare informazioni solo quando strettamente necessario per il progresso delle indagini o per specifiche ragioni di interesse pubblico, nel rispetto del principio di proporzionalità.
Tali disposizioni mirano a contrastare la pratica, frequente in Italia, di veicolare ai media informazioni che possono influenzare l’opinione pubblica e pregiudicare i diritti degli indagati, spesso presentati come colpevoli ancor prima di un giudizio per fare ascolti in televisione.
Le norme della riforma Cartabia
La riforma Cartabia recepisce queste indicazioni e introduce regole specifiche per il rapporto tra procure e stampa. Tra le disposizioni principali:
- Divieto di indicare come colpevole un indagato o imputato fino a una condanna definitiva.
- Obbligo di comunicazione tramite canali ufficiali, come comunicati stampa o conferenze stampa, e solo in presenza di un interesse pubblico rilevante.
- Controllo sulle informazioni fornite dalla polizia giudiziaria, autorizzate esclusivamente dal Procuratore Capo.
- Stop a denominazioni che evocano giudizi di colpevolezza per le operazioni giudiziarie, come nomi che suggeriscano moralità o colpevolezza degli indagati (es. “Mani pulite” o “Angeli e demoni”).
Queste norme mirano a ridurre l’abuso mediatico delle informazioni processuali e a garantire una maggiore uniformità nella comunicazione, eliminando quelle prassi che in passato hanno portato a storture e ingiustizie. O peggio ancora a gogne mediatiche rivelatesi poi infondate.
Critiche e questioni aperte
Nonostante le buone intenzioni, la riforma non ha mancato di suscitare polemiche. I giornalisti giudiziari, sostenuti da alcuni magistrati, evidenziano che le nuove regole possono compromettere il diritto di cronaca, dando eccessivo potere discrezionale alle Procure. In particolare, lamentano che:
- Il controllo delle procure sulla divulgazione delle informazioni possa limitare la trasparenza e ostacolare il ruolo dei media come “cani da guardia” della democrazia.
- La disomogeneità nell’applicazione delle norme da parte delle diverse procure crei confusione e potenziali disuguaglianze nell’accesso alle informazioni.
- La responsabilità etica dei giornalisti sia stata in parte sottovalutata, privandoli di autonomia nella valutazione delle notizie di interesse pubblico.
Un problema strutturale nei rapporti tra procure e stampa
Le difficoltà di attuazione della riforma si inseriscono in un contesto complesso, caratterizzato da un consolidato rapporto complesso tra magistratura e mezzi di informazione. Per decenni, alcune Procure -e alcuni procuratori in cerca di visibilità mediatica- hanno utilizzato, spesso segretamente, la stampa a sostegno alle proprie indagini, facendo in modo che i giornalisti più borderline potessero avere un accesso privilegiato a informazioni riservate. Questo sistema, collaudato per entrambe le parti, ha spesso portato alla pubblicazione di notizie sensibili, intercettazioni e accuse che poi si sono rivelate infondate, con gravi conseguenze per gli indagati.
Un esempio emblematico fu il caso dell’invito a comparire di Silvio Berlusconi nel 1994, pubblicato sui giornali prima ancora che fosse notificato all’allora presidente del Consiglio. Episodi simili hanno contribuito a minare la fiducia nell’equità del sistema giudiziario e nella responsabilità dei media.
Al passo coi tempi?
La riforma Cartabia rappresenta un tentativo al passo con i tempi, e con la società dell'immagine e dell'informazione, di ristabilire l’equilibrio tra diritto di cronaca e tutela degli indagati, rafforzando la presunzione di innocenza come cardine del processo penale. Tuttavia, la sua applicazione richiede maggiore chiarezza, uniformità e dialogo tra le parti coinvolte.
Solo attraverso un uso responsabile delle norme e una rinnovata consapevolezza etica da parte di giornalisti, magistrati e consulenti per le varie realtà imprenditoriali che hanno bisogno di accedere agli atti- penso, nel caso specifico alle società di produzione televisiva che realizzano trasmissioni di approfondimento e documentari su delitti noti, poiché me ne occupo da molti anni- sarà possibile superare perlomeno alcune delle criticità della questione, garantendo sia la libertà di informazione sia la dignità degli individui coinvolti nei procedimenti penali. La sfida principale resta quella di armonizzare una serie di diritti fondamentali, evitando la prevalenza dell'uno sull’altro in modo sproporzionato.